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Capita a volte nella vita, forse troppo spesso, di trovarsi sopraffatti dalle cose da fare, dalle persone da vedere, dalle riunioni, dagli appuntamenti, dai messaggi, mail e chat a cui rispondere, dalle cose fatte in contemporanea.
Le frasi come: "non ho tempo", "ci vorrebbe più tempo", "non ho avuto tempo", sono un mantra che viene snocciolato spesso, anche più volte al giorno. Ci sono poi dei momenti in cui sembra che tutto si sovrapponga e converga.
La tempesta perfetta. In quei momenti, spesso ci si immerge completamente nel fare, fare, fare, a spuntare delle to do list che sono peggio di un’Idra, quando si taglia una delle 9 teste, ricresce in men che non si dica. Poi ci si accorge che non è nemmeno chiarissimo l’orizzonte, il perché e il come si fa un qualcosa, se tutto quello che si fa sia necessario e/o serva. E non si mette nemmeno in discussione, non si ha tempo! Tipo criceti nella ruota.
In uno dei miei "momenti criceto", in un giorno in cui ero da un’ora in mezzo al traffico, non perché stessi andando in un’altra città, semplicemente perché la città dove vivo ha un traffico con delle regole tutte sue, imprevedibili, incomprensibili, soprattutto se si pensa al tempo che non si ha. Proprio allora mi è venuto in mente il tempio di Bayon, quando sono stata a guardare i visi di pietra enormi, pacifici e sorridenti, al di là del bene e del male. É stato come se il tempo si fermasse e col ricordo si aprisse una stana riflessione.
Il Tempio di Bayon si trova in Cambogia, nel più grande sito sacro del mondo, Angkor, 20 per 20, ovvero 400 km quadrati. Angkor fu la capitale dell'Impero Khmer che dominò gran parte del Sud-est asiatico tra il IX e il XV secolo e, tanto per fare un paragone, nel 1200 contava 1 milione di abitanti, mentre a Londra, nello stesso periodo, erano 50.000.
Angkor è stato abbandonato come capitale dell'Impero Khmer nel XV secolo, e da allora il sito è stato dimenticato e anche coperto man mano dalla giungla, per poi essere "ri-scoperto" dagli esploratori europei nel XIX secolo.
Oggi, Angkor è un sito UNESCO Patrimonio dell'Umanità. Forse il tempio più famoso del sito è quello di Angkor Wat, un capolavoro caratterizzato da torri maestose, intricati bassorilievi e una vasta area circondata da un fossato. O anche il Tempio di Ta Prohm, quello parzialmente inghiottito dalla giungla, dove gli alberi sono intrecciati alle rovine. Dove è stato girato il film "Lara Croft", per intenderci.
Tornando a Bayon, in mezzo al verde della giungla e dei prati si trova il tempio che è costruito su più livelli, con corridoi, gallerie e terrazze. Presenta un santuario centrale e la vera particolarità sono le diverse torri che lo circondano, ciascuna adornata con dei grandi volti di pietra. Ci sono un totale di 54 torri e ognuna ha quattro facce rivolte nelle quattro direzioni cardinali.
Il Tempio originariamente era dedicato alla divinità indù Shiva, ma successivamente fu trasformato in tempio buddista durante il regno di Jayavarman VII. Si ritiene che questi volti rappresentino il bodhisattva Avalokiteshvara, una figura associata alla compassione nel buddismo Mahayana e nella tradizione si dice anche che somiglino ai lineamenti del viso del re Jayavarman VII, suggerendo una connessione tra il re e il divino.
E in effetti là in mezzo un po’ beati ci si sente e ci vuole un attimo a farsi pervadere da un grande senso di benessere, nel guardare questi enormi visi di pietra sorridenti e pacifici.
Mi sono rivista là in mezzo, pur essendo dentro la mia macchina in mezzo al traffico, e la sensazione di agitazione e di fretta man mano è stata sopraffatta dal ricordo dei volti che guardano sereni, distaccati, pure con un po’ di compassione, non per forza in senso buddista.
L’indulgere in quel ricordo mi ha portata in un’altra dimensione, in un’altra sensazione, in un altro modo di respirare.
Quale spazio si apre in un tale stato d’animo nel quale, quel genere, l’immensità penetra sotto la pelle e risuona nell’anima? Qualunque cosa l’anima sia.
É la sensazione di antenne che si alzano, di sapere di non sapere e non essere affatto preoccupati per questo; è la capacità di inquadrare da una piccola traccia, di anticipare e includere i dettagli.
A Bayon sembra di percepire un respiro divino proveniente dai grandi volti di pietra. Un respirare ritmico, profondo, tranquillo. É un momento in cui ci si sente presenti e, anche se non si hanno idee del tutto chiare, si va, come se si sapesse dove andare.
Nella nostra quotidianità, per gran parte, procediamo per schemi e per abitudini prestabilite e agiamo secondo mappe cognitive già disegnate.
Questo ci permette di muoverci nel mondo, perché mettere in discussione ogni dettaglio complicherebbe ogni piccola azione.
E sebbene pensare prima di agire sia essenziale, l'idea di conoscere ogni dettaglio e avere tutto sotto controllo è una pia illusione.
Si tratta invece di stare in contatto con ciò che sta accadendo e di dialogarci, "qui ed ora". L'intuizione ci aiuta a collegare un evento ai nostri scopi.
A trovare il senso.
E se abbiamo un obiettivo a cui miriamo, l'intuizione è ciò che trova il significato e la connessione di qualcosa con il nostro obiettivo. Non tanto per stabilire se, come e quando un'interferenza possa intervenire, ma per osservare con occhio sensibile e trovare valore nell'imprevisto.
In quei momenti si riesce e guardare con attenzione, quasi si avesse uno sguardo che coglie e dispiega dei significati intrinseci, il nocciolo delle cose e la posizione nel tempo e nel mondo.
Secondo Hillman (psicoanalista, saggista e filosofo statunitense), l'intuizione è il modo tradizionale di percepire la "ghianda", la verità intrinseca di ogni casa e di ogni persona. L'intuizione è ciò che ci fa cogliere "l'invisibile", che non è altrove, ma è un ordine implicito nelle pieghe del visibile, che può essere compreso con precisione e può essere chiamato la qualità di qualcosa, l'anima di qualcuno, l'atmosfera di una scena, il suo stile.
"Se lo guardiamo attraverso l’intuizione - spiega Hillman -, il nostro mondo diventa un mondo di possibilità": la possibilità di esplorare e di proteggerci, di soddisfare i nostri bisogni e desideri, di vivere avventure e di giocare. Il nostro corpo, le nostre braccia e le gambe, non sono più cose, organi o strumenti, ma possibilità con cui ci esprimiamo nel mondo.
Allo stesso modo, il mondo torna ad essere un luogo da esplorare.
Serve, a volte, fermarsi a riprendere il senso di quello che si fa e il perché, e se non lo si dovesse trovare, il motivo per scegliere, per eliminare, per dire dei No. Tutto quello che si dimentica nei momenti di fretta convulsa e si pensa solo a FARE TUTTO, e con una certa compulsione, alla prossima cosa da fare.
Certo è più facile a Bayon che nel traffico. Ma lì forse è solo più spontaneo. Ovunque ci si può fermare e vedere che cosa emerge, senza cercare specificamente nulla. Si tratta di prendersi del tempo per vedere cosa sta succedendo ed essere presenti con i propri sentimenti, emozioni, idee e intuizioni. Per porsi delle domande.
Trovare uno "spazio per pensare".
Questo in effetti si può fare ovunque.
Ci si può disporre in una posizione di ascolto e di apertura, rimanendo in contatto con la situazione attuale, con l'ambiente e con se stessi. Essere presenti con l'intelletto che ne coglie il significato, con i sensi che catturano la sensazione e radicano nella situazione, con il sentimento che ci collega con gli stati d’animo e/o con l'intuizione che ne immortala il significato.
Avere uno stile mobile, flessibile, una dinamica interna che rivela lo scopo, il fine delle cose e delle persone. Talvolta è utile ricordarsi che si può scegliere come relazionarsi alle situazioni, e subito ci si rasserena. Basta decidere di rallentare per osservare con un’espressione simile ai volti di Bayon, e tutto attorno sembra rallentare.
Dott.ssa Monica Secci Mura
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